I Bizantini conquistano la Sicilia

La Sicilia ebbe un cuore greco non solo in età classica ma anche in età medievale, da quando, dal VI al IX sec. d.C., entrò a far parte dell’Impero Romano d’Oriente, l'Istituzione i cui imperatori si ritenevano gli unici eredi dell’Impero Romano e si definivano “Romani” di lingua greca.

La conquista della Sicilia iniziò nel 535 d.C. data nella quale i Bizantini, con una spedizione inviata da Giustiniano e condotta dal suo generale Belisario,  imposero il dominio dell’Impero Romano d’Oriente sull’isola. Belisario, sbarcato a Catania, presidiata dai Goti, con un corpo di spedizione di più di seimila uomini, accolto come un liberatore, riuscì a conquistare Siracusa. Nel Natale del 535, il Mediterraneo tornò, così, ad essere ancora una volta un mare romano e tutta la Sicilia, diventata una provincia di Bisanzio, iniziò a vivere una nuova ellenizzazione riproposta attraverso la mediazione bizantina e il Cristianesimo orientale. Questo dominio durò fino all' 895, anno in cui l’Impero Romano d’Oriente fu costretto a riconoscere ufficialmente il diritto degli Arabi a governare la Sicilia, o fino al 965, data della conquista di Rometta (ME), ultima roccaforte bizantina nell’isola.

Tra il 692 e il 695, all’insegna di un decentramento amministrativo e militare dell’Impero d’Oriente, voluto dall’Imperatore Eraclio, vennero istituiti i Temi, province bizantine ordinate militarmente. La Sicilia e la Calabria diventarono il "Thema Sikelia" e questi territori vennero divisi in Distretti, aventi a presidio un corpo d’armata.

Ogni provincia, con a capo uno stratega, il supremo comandante civile e militare, era costituita da turme e drungariati, unità militari e amministrative più piccole per un controllo capillare del territorio. I Bizantini esercitavano su ogni dominio, compresa la Sicilia, una forte pressione fiscale e i proventi delle tasse servivano a pagare le spese della corte imperiale, della burocrazia civile, dell’esercito e della flotta.

Il potere sociale apparteneva alle grandi famiglie nobiliari, quasi tutte di derivazione romana, proprietarie di magnifiche domus cittadine e ville rurali,  che parlavano la lingua greca ed erano depositarie di costumi e titoli, aventi come unico riferimento Costantinopoli.

Tra l'VI e il VII sec., specialmente nella parte orientale dell’Isola, alla popolazione locale di lingua latina ma con una numerosa componente grecofona, si aggiunsero, infatti, elementi balcanici, africani e orientali, laici facoltosi o monaci, di usi e cultura greca. Questi, col tempo, riuscirono ad influire tanto sulla realtà culturale e religiosa dell’Isola, quanto sulla compagine sociale, inserendosi anche nella classe dirigente, costituita dall’élite locale, verosimilmente già frutto di un’integrazione tra primores siciliani e famiglie senatorie romane. La popolazione monastica, inoltre, si arricchì di soggetti, legati alle tradizioni bizantine, che a poco a poco iniziarono a ricoprire anche il ruolo di igumeno o di vescovo, divenendo parte dei gruppi di potere e contribuendo anch'essi alla cosiddetta "ellenizzazione".